ROMAMOR

Viaggio immobile tra oblio, utopia e rovine a Villa Medici.

Articolo e foto di Danila Gaggiotti

Mappamondi, scale colorate, modelli architettonici, collezioni di piccoli oggetti. Potrebbe sembrare sfuggente e insondabile il significato delle opere di Anna e Patrick Poirier a Villa Medici.

La tragica esperienza della seconda guerra mondiale che vissero da bambini è il punto di partenza della loro riflessione artistica e personale. Un pensiero intriso di un’incessante dialettica tra violenza e utopia, memoria e oblio, eternità e fragilità, civiltà passate e mondi futuri.

Ouranopolis e sullo sfondo Le Songe de Jacob

La violenza della Storia è rappresentata in modo suggestivo dall’opera “Le monde à l’envers” (2019), in cui troneggia un globo terrestre circondato da uno scenario apocalittico di lampadari, candele e tappeti. Il mappamondo che ritroviamo, sgonfio e sbiadito, come se fosse stanco di girare, su un crepitante giradischi, a sua volta poggiato su una vecchia valigia nell’opera “Surprise Party” (1996). In un mondo che sembra andare alla rovescia, “non girare come dovrebbe”, non è forse meglio rifugiarsi negli ideali, nei sogni, fino alle “stelle luminose”? Qualche passo avanti e scopriamo che “UTOPIA” come recita la scritta scintillante dell’opera “Rétrovisions” (2018), è solo un futile abbaglio. Allettante ma trascendente, in un mondo intaccato dalla corruzione e dalla fragilità in cui l’uomo è solo e abbandonato a se stesso. Non basta aggrapparci al passato e alla memoria, simboleggiata dalle biblioteche. Non basta rifugiarci nella contemplazione della levigata perfezione architettonica del mondo classico. Perché la biblioteca di Alessandria è stata distrutta da un incendio e appare carbonizzata nell’opera “L’incendie de la grande bibliotèque” (1976). Perché “mostrano già i primi segni di degrado” alcune delle quaranta sale “di questa bella utopia”, visibili attraverso i minuscoli oblò di “Ouranopolis” (1995), la città celeste che pende dal soffitto.

Journal d’Ouranopolis 1995

Se l’oblio erode le forme del passato, rosicchiando la memoria, ai nostri artisti non resta che cercare di raccogliere e conservare le più leggere tracce della vita quotidiana, in tutta la loro fragilità. E lo sguardo va al “Journal d’Ouranopolis” (1995), una grande opera composta da piccoli oggetti raccolti durante le passeggiate e poi classificati e fissati nella cera. Giriamo la testa ed ecco: ci appaiono “metafore della fragilità del mondo e della vita” i due fiori bianchi sui quali spiccano le parole “fragility” e “ruins” scritte in rosso con la stilografica. E infine, nell’ultima sala, osserviamo i libri-erbari dove gli artisti raccoglievano piante, annotavano riflessioni e disegni.

Ma nonostante la fragilità, la caducità e il trascorrere del tempo, le opere archeologiche e le rovine non perdono la loro ragion d’essere, anzi. “Gli occhi delle statue non sono vuoti. (…)” Ci ricollegano con il passato e annunciano il futuro. Quegli occhi, inghiottiti dalla memoria e dall’oblio, ci liberano dalla tirannia del tempo” (“Les Regard des Statues”). Gli stessi occhi, bianchi e inespressivi, con cui ci fissano i calchi delle Erme.

Siege Mesopotamia giardino e facciata Villa Medici

Vale la pena, infine, fare una sosta e contemplare Villa Medici e il suo bellissimo giardino. Persi in pensieri di un viaggio immobile.

ROMAMOR 

Villa Medici – Accademia di Francia    

Roma, Viale della Trinità dei Monti, 1

Fino al 5 maggio 2019

Martedì-domenica dalle 12:00 alle 19:00 (ultimo ingresso alle 18:30)

Biglietto valido per il solo ingresso alla mostra: 6Gratuito sotto i 18 anni.

 

Fragility 1996

Lost Archetypes1979

Ruins 1996

Particolare del Journal d’Ouranopolis

Particolare del Journal d’Ouranopolis

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