Centro Ceco di Roma: porte (ri)aperte alla cultura. Intervista con Petra Březáčková

Dopo una pausa di dieci anni, è stato inaugurato alla fine di maggio il Centro Ceco a Roma alla presenza dell’Ambasciatore della Repubblica Ceca Hana Hubáčková e del direttore generale dei Centri Cechi Ondřej Černý. A dirigerlo Petra Březáčková. 

Articolo e foto di Serena Lena

Questo nuovo hub culturale, con sede presso lo storico palazzo dell’Ambasciata della Repubblica Ceca a Roma, si va ad aggiungere alla rete dei Centri Cechi del Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Ceca, che attualmente comprende 25 filiali in 3 continenti.

La storia dei Centri affonda le proprie radici a più di 70 anni fa, quando, alla fine della Seconda guerra mondiale, furono istituiti i primi centri di cultura e di informazione nelle principali città dell’Est Europa, allo scopo di promuovere la Repubblica Ceca all’estero. Tuttavia risale solo al 1994 la creazione di una rete strutturata di istituti nelle principali città del mondo, nella forma che conosciamo oggi. È proprio attraverso questa presenza capillare che i Centri Cechi, diretti da Ondřej Černý, sono riusciti fino ad oggi a diffondere la consapevolezza culturale e artistica di un Paese la cui immagine è stata per troppi anni legata esclusivamente alle vicende storiche più recenti: la Repubblica Ceca non è soltanto un ex stato del blocco orientale, ma un Paese con eccellenze e tradizioni in svariati campi. 

Riscoperta delle tradizioni culturali, networking, focus sull’arte contemporanea: questi i punti di forza dell’offerta dei Centri, fruibile in 20 Paesi nel mondo.  Le attività proposte abbracciano i campi più diversificati – dalla pittura alla scrittura, dalla linguistica alla musica – e rappresentano un collegamento tra ricerca della tradizione storica del Paese e scoperta delle nuove avanguardie artistiche.

Petra Březáčková

Petra Březáčková, direttrice del nuovo Istituto, ci racconta questa nuova avventura romana.

È sufficiente varcare la soglia dell’elegante palazzo di via dei Gracchi che già Petra accoglie i visitatori con la sua espressione radiosa e solare. “Devi scrivere il tuo nome e gli estremi del tuo passaporto qui, purtroppo è una formalità” esordisce. Per me è una formalità cui sono abituata, la registrazione è richiesta ormai in molti uffici pubblici ed è un normale controllo di sicurezza. “E’ che noi cechi ci lamentiamo sempre, eppure non ne abbiamo assolutamente motivo”. Ed è vero, c’è solo da essere orgogliosi di essere cittadini di questo Paese: altissimo livello culturale, un vasto e ricco patrimonio artistico e solo il 2% di disoccupazione. Nella Repubblica Ceca per un giovane, e non solo, è davvero possibile prendere in mano le redini del proprio futuro. Ci accomodiamo nella bella sala da ricevimento dell’Ambasciata, davanti a noi una brocca con acqua e limone per rinfrescarci. Petra è disponibile e amichevole, proprio come prometteva il suo sguardo all’ingresso.

Da quanto tempo vive in Italia?

Vengo da un piccolo paesino di 18mila abitanti moravo, conosciuto a qualcuno solo per essere il luogo natale di Comenius, uno dei più grandi filosofi e fondatore della pedagogia moderna. Ho studiato al liceo artistico e poi, capito che la pittura non poteva essere il mio futuro, storia dell’arte a Praga, dove è iniziata la mia passione per i giardini storici. Proprio per dedicarmi a questo connubio tra architettura e paesaggio, mi sono trasferita a Firenze ed è lì che è cominciata la mia avventura italiana. Da allora sono passati quasi 10 anni e in questo tempo mi sono specializzata, ho lavorato per il Consolato delle Repubblica Ceca come organizzatrice di eventi, occupandomi dei progetti internazionali di cultura e formazione, sia come curatrice che come membro del board scientifico.

Dal 30 maggio lei ha ufficialmente l’incarico di direttrice del Centro Ceco di Roma: come è nato questo incarico e cosa significa per lei?

Una mia amica che lavora all’Ambasciata mi ha chiamato e mi ha detto di questo concorso. Ho pensato: è proprio il ‘mio’ posto, perché unisce due parti di me, da un lato quello sociale di organizzatrice eventi e dall’altro quello riflessivo di ricercatrice, di “topo da biblioteca”. Ci ho provato ed è andata bene.

Il Centro Ceco riapre le sue porte a Roma dopo una lunga chiusura e lei ne sarà a capo. Cosa la spaventa di più e cosa la entusiasma?

Ho deciso di sfruttare questo incarico in maniera del tutto altruistica, cercando per quanto in mia possibilità di costruire, anzi ricostruire, tutti i contatti arrugginiti con i vari Istituti di cultura a Roma. So che non sarà semplice e che ci sarà molto da lavorare, ma vorrei che il mio successore alla fine di questi quattro anni possa beneficiare del mio lavoro, arricchendolo e permettendo a un numero maggiore di persone di conoscere ed appassionarsi alla nostra cultura. Metterò sicuramente in questo incarico tutta la mia passione ed il mio impegno, e sono certa che ne sarò ripagata. Il Centro è un ottimo posto dove ‘meditare la cultura’, dove riflettere, costruire, soffermarsi e cercare di contribuire a qualcosa di più grande.

La Repubblica Ceca viene spesso associata al ricordo di importanti eventi storici ma sempre piuttosto recenti. Ma è riduttivo ricondurre a questo una cultura così complessa e variegata, mix di influenze slave, germaniche, ebraiche. Qual è l’immagine che volete veicolare del vostro Paese e quale il dialogo che volete instaurare con gli italiani e i romani in particolare?

Non è solo raccontare le nostre radici, di cui siamo di certo orgogliosi, che ci sta a cuore, ma vivere il presente e guardare al futuro, ricordando a tutti che siamo un Paese con una vasta ricchezza culturale. Il focus sarà sulle mille sfumature dell’arte contemporanea, insieme all’innovazione scientifica ed allo stretto legame tra scienza ed arte. Design, danza, teatro, pittura: una finestra a 360 gradi sull’avanguardia del nostro Paese. 

Ha detto che vive in Italia ormai da 10 anni: qual è la qualità ceca che crede che gli italiani dovrebbero adottare?

Non amo generalizzare, credo che ognuno di noi sia peculiare e speciale proprio per le sue caratteristiche. La bellezza è universale, travalica ogni nazionalismo e confine geografico.

Cosa vorrebbe allora che gli italiani conoscessero dei cechi?

Io vorrei che semplicemente conoscessero i cechi, al di là di ogni stereotipo, non limitandosi a Praga, a Kafka ed alla birra, ma approfondendo il nostro patrimonio paesaggistico-storico, la nostra cultura, per scegliere ciò che appartiene alla propria anima, qualcosa che magari non cercava nemmeno ma che inaspettatamente lo ha incuriosito.

Il programma del vostro Centro è già definito o in divenire? Può dare ai lettori di Kalamon un’anteprima sulle attività proposte?

Vorrei che la nostra offerta possa essere aperta a tutti i livelli sociali e culturali, coinvolgendo anche i bambini con degli eventi dedicati, collaborando il più possibile anche con le altre istituzioni.  E soprattutto vorrei che il focus fosse sul futuro, per dare anche un segnale di incoraggiamento alle nuove generazioni: la cultura europea non è sicuramente destinata a morire. Non esiste una monocultura, definita ed unidirezionale: la cultura è come un’onda, con alti e bassi, come degli atomi che si riuniscono per poi allontanarsi nuovamente. Basta aspettare che maturino i tempi, ed avere fiducia.

Durante il suo intervento all’inaugurazione ha citato una frase di Goethe, con cui voglio concludere la nostra chiacchierata, ringraziandola e sperando che possa fungere da sprone anche per il lavoro dei giovani collaboratori di Kalamon: “Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in sé genialità, magia e forza. Comincia ora.” 

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