Clemens Meyer, “Il silenzio dei satelliti” – Il destino è un finale aperto

Essere ruvidi ed emozionare. Può sembrare un’operazione non molto semplice, ma riesce perfettamente a Clemens Meyer (nella foto) e alla sua raccolta di racconti Il silenzio dei satelliti (Keller Editore, traduzione di Roberta Gado e Riccardo Cravero).

Articolo di Giovanni Giusti

Sono ruvidi i temi e i personaggi della raccolta, differenti tra loro ma tenuti insieme dai fili delle emozioni, frastagliate e imperfette, ruvide, appunto, e più o meno visibili, che li legano strettamente l’uno all’altro. Come la disillusione e la nostalgia del passato nelle periferie degradate della ex Germania Est. Come gli amori pensati intensamente e mai consumati. O come l’amicizia, sempre esplorata in maniera molto toccante, un tema caro all’autore tedesco e uno dei centri poetici anche del suo celebratissimo romanzo Eravamo dei grandissimi. Meyer ci spinge così, in ogni pagina, a emozionarci, a solidarizzare con i suoi protagonisti, raccontati in prima persona, o comunque sempre messi a fuoco molto da vicino. Da dentro l’anima, si direbbe.

L’epica semplice di Clemens Meyer

Con uno stile fatto di un’epica semplice e di scarti temporali improvvisi tra una frase e l’altra, che danno alla narrazione un respiro a volte quasi favolistico, Meyer ci regala storie e personaggi e che faremo fatica a dimenticare, creando un universo coerente nel quale il lettore si immerge completamente.

I protagonisti dei racconti sono tutti umili, sono semplici lavoratori, e il lavoro forse è uno dei principali tratti distintivi di ognuno di loro. Sono profughi o reduci, da qualunque cosa, da una vita dura, come da una guerra, come dal socialismo reale. Che cercano di sognare un futuro migliore, anche quando un futuro sembrano non averlo per niente. Proprio come i ragazzi di Eravamo dei grandissimi (“Quando sognavamo”, il titolo originale in tedesco), un romanzo che a distanza di qualche anno ancora non ha perso la sua forza. Come Christa e Birgit, donne anziane, vicine alla pensione e amiche per caso, o il cugino di Karli, il piccolo bigliettaio del tram che porta al mare, o la moglie di Hamed che fuma di nascosto sul pianerottolo e che sempre di nascosto si ubriaca, e che poi scompare.

Il destino è un finale aperto

Ed è questa voglia di sognare che li fa estraniare dal mondo malinconico in cui vivono, quasi come una conseguenza naturale. I personaggi di Meyer fanno una cosa ma ne pensano un’altra, meno pratica, ma fondamentale per la loro sopravvivenza interiore, lasciati spesso in uno stato di sospensione, alle prese con un finale che rimane aperto sul presente e sul futuro. Forse un espediente narrativo, o forse il destino che l’autore gli assegna per non sembrare troppo pessimista. “Cosa sarà mai attuale? L’attualità e una leggenda e un concetto radicalmente sbagliato, siamo sempre da tutt’altra parte”, dirà a compimento della sua storia il protagonista proprio del Silenzio dei satelliti, lo struggente racconto che dà il titolo all’intera raccolta. Mentre continua ad aspettare la moglie di Hamed, la ama e non vuole ammetterlo neanche a sé stesso. Ma lei non tornerà mai.

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