Kirschenblüten – Hanami, vita e morte on the road, dal Mar Baltico al Monte Fuji.

Quattro punti di vista diversi e personalissimi, gli articoli di Virginia Zettin, Serena Lena, Jeannette Franke e Francesco Pascali, ci raccontano il toccante Kirschenblüten – Hanami, il film di Doris Dörrie proiettato al Goethe-Institut nel corso della rassegna FRAUENfilm – Registe. Fino al 25 luglio le donne che dietro la macchina da presa sanno meglio rappresentare il cinema tedesco.

Logo © eoodesign di Eleonora Salerno – Foto (particolare) © HFF Muenchen Robert Pupeter

 

 

Articoli di Virginia Zettin, Serena Lena, Jeannette Franke, Francesco Pascali.

 

Kirschenblüten – Hanami: l’elaborazione del lutto on-the-road secondo Doris Dörrie

Articolo di Virginia Zettin

Non ci si accorge mai abbastanza di quanto siano preziose le persone che abbiamo al nostro fianco finché non le perdiamo. A chi di noi non è mai capitato di sentirlo dire o, peggio ancora, di vivere in prima persona questa sensazione?

Ed è proprio il vuoto lasciato dalla perdita di una persona cara a fare da fil rouge a “Kirschblüten – Hanami”, pellicola del 2018 diretta dalla regista tedesca Doris Dörrie e proiettata lo scorso 15 novembre al Goethe-Institut di Roma, nell’ambito della rassegna FRAUENfilmen, dedicata al panorama della regia femminile in Germania.

Il film si inserisce a pieno titolo nel tema portante della rassegna, volta a dar voce allo sguardo delle donne che, da dietro la cinepresa, raccontano il mondo con sfumature nuove e inedite. Prime fra tutte la profondità della narrazione e l’attenzione per i dettagli – anche paesaggistici – che scandiscono con un ritmo decisamente più lento rispetto a quello cui ci ha abituati il cinema hollywoodiano lo scorrere delle scene, cui fa spesso da sottofondo un pregnante silenzio teutonico. Un’atmosfera, quella creata dalla Dörrie, che quasi ci fa percepire il freddo di quei luoghi, sia fisico che metaforico.

Un’elaborazione del lutto on-the-road che ricorda – a modo suo – le peregrinazioni di Orlando Bloom e Kirsten Dunst in “Elizabethtown” o le avventure del tenero Carlo in uno dei più commoventi lungometraggi disneyano, l’amatissimo “Up”.

Un viaggio dolce-amaro negli ultimi giorni di vita del pensionato tedesco Rudi e della moglie Trudi, tra le frenetiche capitali di Berlino a Tokyo e località immerse ancora nel mistero della natura   – dal Mar Baltico al Monte Fuji. Un continuo alternarsi tra la durezza che la vita di tutti i giorni spesso ci impone e la necessità di trovare il senso più profondo dei nostri legami, di cui non di rado ci si accorge solo a seguito delle situazioni più drammatiche.

 

Kirschblüten – Hanami: l’eterna danza tra la vita e la morte.

Articolo di Serena Lena

Nell’ambito della rassegna del Goethe Film Forum dedicata al cinema tedesco al femminile, non poteva mancare il nome di Doris Dörrie, rinomata commediografa tedesca. Ispirata al film di Ozu del 1953 “Tokyo Monogatari” – a sua volta versione rielaborata della pellicola americana di Leo McCarey “Make way of tomorrow” (1934) – la Dörrie riporta sugli schermi dell’altro lato del mondo un toccante monito all’effimera natura delle cose.

Si apre con una condanna a morte il racconto di Doris Dörrie: a Rudi, il marito dell’attempata donna che riempie lo schermo, resta poco tempo da vivere.

Come affrontare questa notizia? Trudi sceglie di non farne parola allo sposo e di spezzare la monotonia della loro quotidianità familiare intraprendendo un viaggio tra gli affetti e i luoghi amati. Ma questo viaggio così a lungo desiderato sarà destinato a interrompersi bruscamente per l’inattesa morte della donna ed a Rudi, rimasto vedovo, non resterà che proseguire da solo, nel tentativo di esaudire uno dei più grandi desideri della compianta consorte: visitare il Giappone.

Sarà proprio durante questo errare che l’uomo riuscirà a trovare sollievo al proprio dolore, non nella vicinanza della propria famiglia ma nella compagnia silenziosa e complice di una sconosciuta danzatrice di Butho. La giovane, nonostante l’apparente impossibilità comunicativa, accoglierà l’uomo disperato e si prenderà cura di lui, aiutandolo a mettersi in comunicazione con le ombre dei propri ricordi, a prenderli per mano e, finalmente, a danzarci insieme.

Un racconto intimo e delicato che parla di dolorose perdite ma anche di inattesi e semplici inizi, della forza di rialzarsi ma anche della tentazione di soccombere, in un perenne richiamo all’oriente, non solo nella scelta dei paesaggi ricchi di poetici rimandi concettuali ma soprattutto nella raccolta e delicata contemplazione dell’armoniosa relazione tra dolore e felicità.

 

Kirschblüten – Hanami: Il Fuji è solo una montagna, un film di Dorris Dörrie.

Articolo di Jeannette Franke

Cosa fare coi sogni non vissuti? Come congedarsi da una persona amata? Niente è per l’eternità – una certezza che reprimiamo facilmente. Così hanno fatto i coniugi Trudi (Hannelore Elsner) e Rudi (Elmar Wepper) vivendo una vita modesta in un piccolo paese bavarese. I grandi sogni di una volta messi da parte, perché per realizzarli c’è ancora tempo.

Quando Rudi scopre di avere il cancro e che gli rimangano solo pochi mesi, parte per Berlino con la moglie Trudi per rivedere figli e nipoti, ma senza dir loro che è malato. Rivederli è una sfida: i figli non hanno né il tempo né la voglia di passare del tempo con i genitori che sono diventati come degli estranei. Ad essersi allontanati non sono solo i figli e i genitori, ma anche Rudi e Trudi hanno perso il loro legame. Avendo abbandonato, per la famiglia e suo marito, il sogno di andare in Giappone e ballare il butoh, l’unico raggio di luce per Trudi resta quello di vedere una performance di butoh. Alla fine Trudi riesce a convincere il marito a fare un viaggio sul Mar Baltico, ma purtroppo i suoi tentativi di scuotere Rudi falliscono.

La morte improvvisa di Trudi porta Rudi ad un punto di svolta, decide di andare in Giappone a trovare Karl, il figlio più giovane. Ma ci va soprattutto per seguire le orme di sua moglie. Con l’aiuto della giovane Yu (Aya Irizuki), che si occupa di lui, Rudi riesce ad avvicinarsi di nuovo alla moglie defunta. Vedere Rudi chi porta i vestiti della moglie nella valigia e li indossa pure, è inquietante e allo stesso tempo profondamente commovente.

La seconda metà del film è molto più tranquilla e unisce il lutto di Rudi con il suo percorso alla ricerca di se stesso. All’ombra del fiore di ciliegio, albero bello ed effimero – Rudi balla il butoh prima di andare al Fuji per Trudi. Una montagna enorme e allo stesso tempo “un uomo timido”, come Yu gli fa capire. Il film della regista tedesca Dorris Dörrie ha una narrazione sensibile ed è un appello per una vita nel qui e ora. Vive l’istante.

 

Kirschblüten – Hanami: Una rassegna per (ri)scoprire le più importanti registe tedesche.

Articolo di Francesco Pascali

FRAUEN film – Registe è il titolo dell’interessante ciclo di proiezioni in lingua originale (con sottotitoli) dedicato alle più importanti cineaste tedesche che il Goethe Institut propone fino alla fine di luglio. Interessante, perché ci permette di accostarci a un cinema dalla forza inedita, capace di una straordinaria diversità di temi e approcci, come è quello tedesco, attraverso lo sguardo delle donne: si alternano nomi più noti (M. Von Trotta, il premio Oscar C. Link), cineaste all’avanguardia (H. Misselwitz), fino alle voci più recenti (M. Ade).

Lo scorso 15 novembre è stata la volta di Kirschblüten – Hanami di Doris Dörrie, autrice affermata di commedie, documentari, ma anche storie intime e commoventi. Rudi è malato di cancro, ma non lo sa e quando, durante un viaggio, è sua moglie Trudi inaspettatamente a morire, decide di realizzare il sogno della donna e andare in Giappone a vedere il Monte Fuji.

La Dörrie articola la narrazione della vita in intervalli di gioia e dolore con grande sensibilità, concentrandosi sui primi piani dei protagonisti e descrivendo gli ambienti attraverso rapidi stacchi sui dettagli caratterizzanti. Si cura con affetto di Rudi, trovatosi all’improvviso a fare i conti col peso dei suoi ricordi e a ricercare Trudi negli oggetti, nei paesaggi e nelle parole. E insieme a lui si immerge nella cultura orientale, travolta dalla stessa meraviglia di chi a poco a poco la disvela. Nonostante la fotografia, a tratti piatta e monotona, le pennellate di poesia nei dialoghi e nei movimenti dei personaggi riescono a colpire anche gli spettatori meno emotivi.

 

 

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