La memoria, una necessità esistenziale

Conversazione con Alessandro Portelli, già professore di letteratura angloamericana all’Università “La Sapienza” di Roma. Tra le sue numerose pubblicazioni “L’ordine è già stato eseguito”, punto fermo sulla strage nazista delle Fosse Ardeatine del 24 marzo del 1944. Portelli è considerato uno dei fondatori della storia orale in Italia.

Articolo di Giovanni Giusti

Il Giorno della Memoria è la ricorrenza che il 27 gennaio commemora le vittime dell’Olocausto. Al professor Portelli abbiamo chiesto come sia possibile, ogni anno, guardare con occhi nuovi questa giornata, come sia possibile tenerla sempre viva, senza correre il rischio di trasformarla, quasi, in qualcosa di scontato.

“Il rischio di saturazione del Giorno della Memoria è un problema sollevato da parecchie parti. Io continuo a pensare che il Giorno della Memoria non debba essere concentrato sulla memoria di uno specifico evento, per quanto l’evento più tragico della nostra storia. Come fai a dire delle cose nuove su Auschwitz ogni anno? Penso ai ragazzi delle scuole, che dalla prima media alla quinta superiore si sentono ridire sostanzialmente le stesse parole. Fermo restando che si debbano avere dei punti di riferimento, si dovrebbe ragionare sulla funzione complessiva e generale della memoria. La debolezza della memoria storica comporta infatti delle conseguenze politiche immediate, la memoria non è semplicemente il nostro rapporto con il passato, quello che noi pensiamo del passato orienta come ci comportiamo oggi.”

Lavorare criticamente sulla memoria

“Al tempo stesso io credo che il lavoro sulla memoria non possa che essere un lavoro critico. Un altro dei problemi infatti è che la memoria viene assunta come un dato intoccabile, un’esperienza intangibile e indiscutibile delle persone e che quindi finisce per essere in qualche modo ‘destorificata’. Mentre invece lavorare sulla memoria significa lavorarci criticamente, e questo diventa difficile nel contesto in cui siamo, in cui invece viene evocato il dovere della memoria come un dovere morale. La memoria non è un dovere morale, è una necessità esistenziale. Non è che possiamo decidere di non ricordare, nel momento in cui noi non ricordiamo certe cose finiamo per ricordarne altre o per ricordarle in un modo diverso. Quindi io penso che ci dovrebbe essere un discorso complessivo sulla funzione della memoria nelle società contemporanee, un discorso critico sulla memoria come fonte e sulla memoria come lavoro sulla coscienza, oltre che come lavoro intellettuale.

Tra l’altro la memoria cambia. Nel senso che se la memoria è un rapporto fra il presente e il passato, se il presente cambia, il nostro rapporto col passato cambia, allontanandosi e mostrando prospettive differenti. Ci dobbiamo cioè domandare come funziona la memoria storica nel momento presente, come funziona in ogni momento il nostro rapporto col passato.”

 Auschwitz icona della Memoria

Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, il 27 gennaio del 1945 è il giorno di Auschwitz liberata dall’Armata Rossa. Perché assumere proprio Auschwitz come icona della Memoria. Perché è così importante?

“Auschwitz ha questo. Da un lato ha prodotto personaggi come Primo Levi e Jean Améry, ed è dall’esperienza di Auschwitz che emergono le grandi riflessioni sulla Shoah. Dall’altro Auschwitz è il punto di arrivo di una ricerca che i Nazisti fanno sui metodi di sterminio, è il punto di arrivo di una crescente ‘industrializzazione’ dello sterminio. E poi Auschwitz, proprio per le modalità della sua liberazione, è stato il campo che è stato trovato più integro, è quindi quello che possiamo vedere fisicamente. Auschwitz è ‘il’ luogo della Memoria perché è ancora oggi perfettamente visibile e visitabile.”

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